La FLC CGIL verso il IV Congresso del 17, 18 e 19 dicembre 2018. I temi del dibattito congressuale (seconda parte).
In questo quadro di trasformazioni si inserisce il più grande mutamento del XXI secolo: il passaggio della conoscenza da attività liberante ed emancipante dei popoli a elemento performante e “abilitante” del sistema capitalistico della produzione di merci e servizi dentro una fase di accelerazione dell’innovazione tecnologica, in particolare applicata alla robotica e all’intelligenza artificiale.
In pratica stiamo assistendo al progresso di alcune scienze e tecnologie sviluppate e alla loro trasformazione in nuove tecnologie e nuovi saperi “abilitanti”.
Il termine abilitanti è cruciale nel quadro globale, perché significa che i saperi “abilitano” a produrre beni e servizi competitivi soltanto gli attori che possiedono le conoscenze delle tecnologie (e posseggono gli apparati tecnologici). Si celebra così con nettezza il passaggio dalla conoscenza emancipatrice, fondata sulla padronanza dei saperi e delle parole, alle competenze competitive, fondate sulla certificazione delle abilità e sulla gestione acritica delle tecniche. Conseguentemente le prassi educative si stanno sempre più concentrando su un eterno presente fatto di prodotti e “compiti reali” con la totale rinuncia a una qualsiasi prospettiva di trasformazione della realtà. Se colleghiamo questi processi con quelli relativi al rilancio dei monopoli, il rischio è chiaro: la concentrazione e il controllo delle conoscenze e delle tecnologie abilitanti nelle mani di alcune grandi compagnie, rafforzando alcune tendenze negative già emerse nel corso della precedente rivoluzione industriale.
Come perfino l’Ocse rileva, lo sconvolgimento dettato dalle trasformazioni tecnologiche abilitanti avrà un impatto sul modo stesso di studiare e di insegnare perché cambia il rapporto con la scrittura, il disegno, la lettura e la creatività. I cosiddetti programmi di supporto alla produttività hanno già modificato il nostro modo di comporre e di scrivere, e di fronte a questo fenomeno appare insufficiente la “retorica” della scuola digitale, largamente illusoria nel voler rendere attuali metodi antichi, inserendo semplicemente qualche lavagna digitale e qualche tablet in un contesto ancora metodologicamente oltre che tecnologicamente inadeguato.
In tutto questo il lavoro è sempre più ridotto a merce, lavoro povero, svalorizzato e malpagato, utilizzato come leva per la competizione internazionale e non come strumento di redistribuzione della ricchezza. I grandi profitti generati dalla globalizzazione devono essere arrestati e redistribuiti. Così come è irrinunciabile una riflessione sulla riduzione degli orari di lavoro come orizzonte per ridare dignità al lavoro. Allo stesso tempo viviamo, non del tutto consapevoli, una sempre più grave crisi ambientale legata all’insostenibilità del nostro modello di sviluppo. Per ora i più colpiti sono “i più poveri tra i poveri” ma in realtà l’intero pianeta è minacciato. Si pongono all’umanità domande nuove alle quali per primi devono rispondere i sistemi di istruzione, formazione e ricerca: domande legate alla sopravvivenza della specie, alla necessità di confrontarsi con inarrestabili migrazioni, alla comprensione di un presente sempre più incerto. Non possiamo che partire dall’individuazione dei limiti di un modello di sviluppo che mette a rischio la vita stessa e dalla necessità di correggerne le traiettorie di fondo. In questo senso i sistemi di Istruzione, formazione e ricerca rappresentano le leve fondamentali per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo finalizzato a dare risposte ai temi della sostenibilità ambientale, dell’inclusività e solidarietà rispetto ai grandi processi migratori, alle pesanti diseguaglianze che permeano la nostra società.
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