La FLC CGIL verso il IV Congresso del 17, 18 e 19 dicembre 2018. I temi del dibattito congressuale (prima parte).
Nei tumultuosi e incessanti processi d’innovazione tecnologica che stanno rivoluzionando sia i rapporti sociali e produttivi, sia le stesse relazioni umane, assumono sempre maggiore centralità le infrastrutture e i luoghi del sapere e della formazione. All’interno di questi processi, l’egemonia neoliberale sembra aver travolto ogni ostacolo ed essersi imposta come ideologia dominante, fino a rappresentare l’economia neoclassica come una seconda natura.
Dalla ormai lontana stagione delle grandi riforme, accelerata nel biennio ‘68 ‘69, l’Italia ha cercato di cambiare la società e di attuare la Costituzione partendo proprio dai luoghi dal sapere.
Pensiamo alla scuola media unica, ai decreti delegati, all’università di massa, alla costruzione di una rete di ricerca sul territorio nazionale, alla diffusione della scuola dell’infanzia, alla messa a sistema della formazione artistica e musicale. Per un lungo periodo, che corrispondeva a una fase di redistribuzione della ricchezza attraverso una forte spinta all’aumento dei salari, ma anche attraverso i principi a cui si ispirano le istituzioni della conoscenza e la loro missione si è cercato di realizzare l’articolo 3 della Costituzione: rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Successivamente però si è aperta una fase diversa nella quale, per adeguare il sistema di istruzione, formazione e ricerca alla società e alle esigenze del sistema produttivo, nuove riforme hanno portato a un arretramento rispetto alle conquiste dei decenni precedenti. Con la conseguenza di creare un mondo in cui sono sempre più forti e prevalenti competitività e individualismo, un mondo in cui entrano in crisi i valori della solidarietà, della comunità e dell’uguaglianza, un mondo in cui la ricerca del profitto e il mercato senza regole producono miliardi di nuovi poveri e mettono in discussione le stesse possibilità della vita umana sul pianeta. Negli ultimi 20 anni in particolare, sono state adottate politiche di riduzione della spesa pubblica e di quella sociale, con la giustificazione di ridurre gli sprechi e costruire una governance più efficiente. Quelle politiche hanno avuto l’effetto di differenziare competitivamente il sistema, rischiando di trasformare la conoscenza in un fattore di sostegno ai disequilibri, alle diseguaglianze e alle divergenze tra territori e classi sociali. Ma l’onda lunga del processo neoliberista di ristrutturazione delle agenzie formative e, più in generale, dei settori pubblici ha interpretato l’autonomia come competizione, schiacciando l’idea originaria dell’autonomia come autogoverno democratico. Questa visione si è consolidata attraverso imponenti edificazioni normative: la legge Gelmini sulla scuola, la legge 150/09, la legge 240/10, la legge 213/09 sugli enti di ricerca, la legge 107/15. L’obiettivo è semplice: avvicinare sempre di più le autonomie a un sistema di quasi-mercato dove competizione e consumo sostituiscono cooperazione e partecipazione democratica, attraverso strumenti di valutazione comparativa da ultimo finalizzata a costruire esplicitamente o implicitamente classifiche tra cui poter scegliere il “migliore”. D’altro canto non sono mancati risultati ottenuti con lotte sindacali e civili, con l’impegno di lavoratori e di intellettuali, lotte di resistenza che hanno tenuto viva un’idea alternativa.
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